Storie di dolore

Dolori non classificati dalla medicina, ma che noi viviamo costantemente.

Esistono persone che, ai giorni nostri, soffrono; soffrono tanto, di continuo, come nel mio caso, persino in maniera perenne da molti anni. Direte che c’è di strano? Il mondo è pieno di malati! Vero, ma la categoria di cui parlo è un po’ particolare: siamo persone che soffrono, ma che i medici non sanno come aiutare, perché, con tutta la loro buona volontà, questi non riescono a trovare l’origine del nostro problema.

Nel mio caso, un mattino qualsiasi, di giorno qualsiasi intorno i trentacinque anni, mi son svegliato con un dolore ad un piede. Mi son detto sarà una stupidaggine, e scherzosamente mi son detto che stavo invecchiando. Mi aspettavo che, con il solito analgesico generico che avevo sempre usato, sarebbe passato entro poco tempo, e non ci ho pensato mentre passavano le ore. Arrivò la sera ed il dolore era sempre li, non fortissimo in quel momento, ma era sempre li, costante, pulsante, presente senza farsi però troppo notare. E fu nei giorni successivi che capii che qualcosa era cominciato, ma mai avrei pensato che non sarebbe più finito!

Dicerto il periodo successivo, e non certo inteso come una manciata di giorni, non è stato come mi aspettavo: anni di esami, test, ricoveri e delusioni. La delusione era sempre la componente finale di qualunque tentativo: perché alla fine la risposta era sempre la stessa: “Lei è sano come un pesce, e non riusciamo a capire il suo dolore da dove provenga.”

Immagino anche altre persone a cui sia capitato: la delusione, per quanto sempre meno sorprendente, perché ormai diventava una consuetudine, ormai era una una conclusione abituale; qualunque tentativo si facesse si finiva sempre per restare delusi; sapere di stare male, e di starci parecchio, e non riuscire a trovare una ragione, corrispondeva a sapere che si stava male e che le cose sarebbero solo peggiorate, visto che non si capiva perché.

Intanto quel dolore che era iniziato da un piede, continuava ad espandersi: nel giro di pochi anni il dolore interessava ormai l’intera gamba ed iniziava a coinvolgere anche l’altra.

Fu in quel periodo che sembrò esserci una speranza: durante l’ennesima tornata di esami sembrò che avessi l’artrite reumatoide. Mi dissi che finalmente c’era una malattia su cui lavorare, una malattia su cui si potevano fare delle terapie, verificare clinicamente dei miglioramenti. Ero contento come non mai. Mi era stato spiegato che era una patologia da cui non si guariva, ma che esistevano comunque terapie che potevano migliorare significativamente la mia qualità di vita quotidiana. Così iniziai le terapie, e sembrava che le cose migliorassero un pochino, ma dopo diversi mesi di terapia mi resi conto che, a fronte delle terapie che stavo facendo, e parliamo di antitumorali a basso dosaggio e quantità di cortisone tali da mantenere una piccola casa farmaceutica da solo, i benefici non corrispondevano all’impiego di tali dosi.

Se ne rese conto anche il reumatologo che mi seguiva e così ennesimo ricovero, altri 30 giorni in ospedale, rivoltato come un calzino per ancora una volta. Di nuovo mi aspettavo di restare deluso: e così fu. Alla fine mi sentii ripetere la solita frase: «Ci spiace, per quanto riguarda l’artrite reumatoide, adesso è a posto, per il resto ci risulta sano come un pesce.»

Interessante, peccato che i miei dolori fossero sempre presenti, costantemente, come da quando era iniziata la questione dell’artrite reumatoide. Fu solo quanto minacciai di dovermi portare fuori a forza dal reparto, perché i dolori erano ancora presenti, che scappò loro qualche vaga informazione sulla terapia antalgica. «Esiste una nuova branca della medicina che si occupa di gestire il dolore in pazienti come lei, in cui non si capisce l’origine dello stato doloroso.» Fu tutto quello che riuscii a sapere da loro: sembravano non volersi sbilanciare, come se darmi indicazioni su questa nuova, che nuova non era per nulla, branca diminuisse il loro prestigio, tanto da non volermi dare nemmeno una indicazione di massima di chi poter contattare. Alla fine san Google mi venne incontro: trovai un medico che praticava questa specializzazione che addirittura metteva il suo numero di cellulare personale sulla sua propria pagina web!!

Chiaramente l’ho contattato e da li la mia vita è decisamente migliorata, almeno per qualche anno. Seguendo le sue disposizioni, e con dosi nemmeno così eccessive di analgesici specifici, ho ripreso a vivere, almeno per un certo periodo. Le cose sono andate bene per diversi anni: quando il dolore superava il livello del farmaco mi veniva innalzata la dose di una certa unità in milligrammi e, per altri mesi o addirittura anni in certi casi, ero di nuovo a posto.

Mi aveva avvisato però che non si poteva fare questo gioco al rialzo all’infinito: ad un certo punto avremmo raggiungo un livello critico oltre il quale non si sarebbe potuti andare, ma Gerardo, sempre positivo, mi disse «Quando succederà troveremo un’altra soluzione.» E così fu in effetti. Dopo diversi anni di questa terapia al rialzo raggiungemmo il famoso livello critico, che lui non mi aveva mai comunicato quale essere, per ovvi motivi psicologici. Quando me lo disse mi sentii la terra cedere sotto i piedi: ed adesso ? Cosa si poteva fare, come sopravvivere al dolore perenne che di nuovo saliva di intensità ormai su entrambe le gambe coinvolgendo le anche persino?

Gerardo mi disse che c’era una possibilità: un impianto sottocutaneo per l’elettro stimolazione dei grandi nervi che trasmettono il dolore dagli arti inferiori. Praticamente questa stimolazione, continua o meno a seconda di come avesse funzionato su di me, avrebbe confuso il cervello sulla natura dei segnali che questi nervi inviavano, rendendolo così capace di non interpretare il dolore come tale, ma un fastidio; non essendo certo che avrebbe funzionato bisognava fare un periodo di prova con l’apparecchiatura connessa in maniera temporanea esterna al corpo, escluso il sondino che si infilava nella colonna vertebrale. Avrei dovuto stare molto attento a non impigliare mai quel cavo a penzoloni, che mi usciva dalla pelle, per tutto il tempo e se, ripeté con enfasi se, la cosa avesse funzionato, allora avrebbe proceduto con l’inserimento definitivo sotto cute, ma dovevo anche tenere conto in quel caso, che periodicamente avrei dovuto sottopormi ad interventi chirurgici per la sostituzione della batteria dell’apparecchio.

Lamia risposta fulminea fu solo «Quando cominciamo il periodo di prova?». Credo Gerardo se lo aspettasse e così in tempi, relativamente brevi, mi fu impiantato il sondino nella colonna vertebrale ed inizio il periodo di prova. La prova andò a buon fine, così qualche mese dopo mi trovavo sul lettino della sala chirurgica con Gerardo che mi sistemava tutto l’impianto sotto cute. Da allora son passati un paio di anni, ho già affrontato il primo intervento di cambio batteria, ed adesso a distanza di un altro anno sono quasi pronto per eseguire il secondo cambio batteria.

Capiamoci: questa apparecchiatura non mi ha fatto tornare a praticare arti marziali, o mi ha fatto tornare a fare le mie, tanto mancate camminate in montagna, ma quanto meno, vivo in casa una vita accettabile, riuscendo anche a lavorare , da casa ok ma comunque almeno qualcosa riesco a fare!!

Perché hai voluto raccontarci questa storia, molti di voi si staranno chiedendo: per tre semplici motivi:

  1. Vorrei che molta più gente capisse quello che altre persone in condizioni come la mia, se non peggiore, vive. Quando sento la gente lamentarsi delle sciocchezze quotidiane tendo a diventare iroso. Mi domando come faccia la gente a non ringraziare ogni giorno di vivere una vita in salute; mi rendo conto che forse anch’io prima che questa avventura iniziasse, sicuramente, ero come tutti gli altri, ma ora che ci sono dentro, darei non so cosa affinché la gente capisse che esistono molte persone nelle mie condizioni. Nemmeno io lo immaginavo, ma frequentando spesso gli ambulatori di Terapia Antalgica, vedo quanta gente si trova costretta a confrontarsi con situazioni di dolore perenne del quale non si riesce a determinare la causa, con il risultato, come successe a me, di non trovare terapie utili a lenire il dolore.
  2. Vorrei che fosse fatta molta più attività divulgativa, su questa branca delle medicina. Io stesso ho introdotto alcune persone, affette da dolore cronico sia dovuto a malattie conclamate, che a situazione come le mie in cui le origini non si capiscono, a questo modo di affrontarlo. Certo, mi rendo conto che doversi adattare a terapie a medicinali molto forti, che inducono dipendenza, può spaventare molti, ma fidatevi: se uno deve vivere tutto il giorno, di tutti i giorni, un dolore che non da tregua, allora delle dipendenza a quel punto se ne fregherà assolutamente.
  3. Vorrei, anche, che chi ha a che fare con persone nel mio stato per motivi professionali, faccio un esempio banale: la commissione medica patenti, fosse più comprensiva nel capire che noi siamo già in condizione di svantaggio, se poi ci si mettono pure loro a complicarci la vita, non è che non facciamo i salti di gioia!!! Io, per esempio, ho dovuto rinnovare la patente negli ultimi 4 anni ogni santissimo anno, questo perché la CMP ha ritenuto che dovessi essere rivisto, anno per anno, per capire se peggioravo o meno, e posso capire dal loro punto di vista questa cosa, ma non la capisco quando, alla prima visita fatta, scopro che nemmeno conoscevano il farmaco che assumevo contro il dolore e che, seppure in dosi molto più basse, devo, e dovrò, continuare a prendere per il resto della mia vita. Quest’anno, non mi chiedete il perché, ma mi hanno graziato rinnovandomi la patente per ben due anni!! Dico ben due.

Vorrei anche che chi ha a che fare con persone nel mio stato per motivi professionali, faccio un esempio banale: la commissione medica patenti, fosse più comprensiva nel capire che noi siamo già in condizione di svantaggio, se poi ci si mettono pure loro a complicarci la vita, non è che non facciamo i salti di gioia!!! Io, per esempio, ho dovuto rinnovare la patente negli ultimi 4 anni ogni santissimo anno, questo perché la CMP ha ritenuto che dovessi essere rivisto anno per anno per capire se peggioravo o meno, e posso capire dal loro punto di vista questa cosa, ma non la capisco quando, alla prima visita fatta, scopro che nemmeno conoscevano il farmaco che assumevo contro il dolore e che, seppure in dosi molto più basse, devo, e dovrò, continuare a prendere per il resto della mia vita. Quest’anno, non mi chiedete il perché, ma mi hanno graziato rinnovandomi la patente per ben due anni!! Dico ben due.

Comunque dell’interazione della nostra situazione medica con il mondo intorno a noi con cui dobbiamo interagire parlerò in un altro post.

Se qualcuno si trova nelle mie condizioni, o si vede in una condizione simile alla mia, e volesse informazioni sulla Terapia Antalgica, mi contatti pure che cercherò di rispondere a qualsiasi domanda.

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