Storie di dolore

Dolori non classificati dalla medicina, ma che noi viviamo costantemente.

Esistono persone che, ai giorni nostri, soffrono; soffrono tanto, di continuo, come nel mio caso, persino in maniera perenne da molti anni. Direte che c’è di strano? Il mondo è pieno di malati! Vero, ma la categoria di cui parlo è un po’ particolare: siamo persone che soffrono, ma che i medici non sanno come aiutare, perché, con tutta la loro buona volontà, questi non riescono a trovare l’origine del nostro problema.

Nel mio caso, un mattino qualsiasi, di giorno qualsiasi intorno i trentacinque anni, mi son svegliato con un dolore ad un piede. Mi son detto sarà una stupidaggine, e scherzosamente mi son detto che stavo invecchiando. Mi aspettavo che, con il solito analgesico generico che avevo sempre usato, sarebbe passato entro poco tempo, e non ci ho pensato mentre passavano le ore. Arrivò la sera ed il dolore era sempre li, non fortissimo in quel momento, ma era sempre li, costante, pulsante, presente senza farsi però troppo notare. E fu nei giorni successivi che capii che qualcosa era cominciato, ma mai avrei pensato che non sarebbe più finito!

Dicerto il periodo successivo, e non certo inteso come una manciata di giorni, non è stato come mi aspettavo: anni di esami, test, ricoveri e delusioni. La delusione era sempre la componente finale di qualunque tentativo: perché alla fine la risposta era sempre la stessa: “Lei è sano come un pesce, e non riusciamo a capire il suo dolore da dove provenga.”

Immagino anche altre persone a cui sia capitato: la delusione, per quanto sempre meno sorprendente, perché ormai diventava una consuetudine, ormai era una una conclusione abituale; qualunque tentativo si facesse si finiva sempre per restare delusi; sapere di stare male, e di starci parecchio, e non riuscire a trovare una ragione, corrispondeva a sapere che si stava male e che le cose sarebbero solo peggiorate, visto che non si capiva perché.

Intanto quel dolore che era iniziato da un piede, continuava ad espandersi: nel giro di pochi anni il dolore interessava ormai l’intera gamba ed iniziava a coinvolgere anche l’altra.

Fu in quel periodo che sembrò esserci una speranza: durante l’ennesima tornata di esami sembrò che avessi l’artrite reumatoide. Mi dissi che finalmente c’era una malattia su cui lavorare, una malattia su cui si potevano fare delle terapie, verificare clinicamente dei miglioramenti. Ero contento come non mai. Mi era stato spiegato che era una patologia da cui non si guariva, ma che esistevano comunque terapie che potevano migliorare significativamente la mia qualità di vita quotidiana. Così iniziai le terapie, e sembrava che le cose migliorassero un pochino, ma dopo diversi mesi di terapia mi resi conto che, a fronte delle terapie che stavo facendo, e parliamo di antitumorali a basso dosaggio e quantità di cortisone tali da mantenere una piccola casa farmaceutica da solo, i benefici non corrispondevano all’impiego di tali dosi.

Se ne rese conto anche il reumatologo che mi seguiva e così ennesimo ricovero, altri 30 giorni in ospedale, rivoltato come un calzino per ancora una volta. Di nuovo mi aspettavo di restare deluso: e così fu. Alla fine mi sentii ripetere la solita frase: «Ci spiace, per quanto riguarda l’artrite reumatoide, adesso è a posto, per il resto ci risulta sano come un pesce.»

Interessante, peccato che i miei dolori fossero sempre presenti, costantemente, come da quando era iniziata la questione dell’artrite reumatoide. Fu solo quanto minacciai di dovermi portare fuori a forza dal reparto, perché i dolori erano ancora presenti, che scappò loro qualche vaga informazione sulla terapia antalgica. «Esiste una nuova branca della medicina che si occupa di gestire il dolore in pazienti come lei, in cui non si capisce l’origine dello stato doloroso.» Fu tutto quello che riuscii a sapere da loro: sembravano non volersi sbilanciare, come se darmi indicazioni su questa nuova, che nuova non era per nulla, branca diminuisse il loro prestigio, tanto da non volermi dare nemmeno una indicazione di massima di chi poter contattare. Alla fine san Google mi venne incontro: trovai un medico che praticava questa specializzazione che addirittura metteva il suo numero di cellulare personale sulla sua propria pagina web!!

Chiaramente l’ho contattato e da li la mia vita è decisamente migliorata, almeno per qualche anno. Seguendo le sue disposizioni, e con dosi nemmeno così eccessive di analgesici specifici, ho ripreso a vivere, almeno per un certo periodo. Le cose sono andate bene per diversi anni: quando il dolore superava il livello del farmaco mi veniva innalzata la dose di una certa unità in milligrammi e, per altri mesi o addirittura anni in certi casi, ero di nuovo a posto.

Mi aveva avvisato però che non si poteva fare questo gioco al rialzo all’infinito: ad un certo punto avremmo raggiungo un livello critico oltre il quale non si sarebbe potuti andare, ma Gerardo, sempre positivo, mi disse «Quando succederà troveremo un’altra soluzione.» E così fu in effetti. Dopo diversi anni di questa terapia al rialzo raggiungemmo il famoso livello critico, che lui non mi aveva mai comunicato quale essere, per ovvi motivi psicologici. Quando me lo disse mi sentii la terra cedere sotto i piedi: ed adesso ? Cosa si poteva fare, come sopravvivere al dolore perenne che di nuovo saliva di intensità ormai su entrambe le gambe coinvolgendo le anche persino?

Gerardo mi disse che c’era una possibilità: un impianto sottocutaneo per l’elettro stimolazione dei grandi nervi che trasmettono il dolore dagli arti inferiori. Praticamente questa stimolazione, continua o meno a seconda di come avesse funzionato su di me, avrebbe confuso il cervello sulla natura dei segnali che questi nervi inviavano, rendendolo così capace di non interpretare il dolore come tale, ma un fastidio; non essendo certo che avrebbe funzionato bisognava fare un periodo di prova con l’apparecchiatura connessa in maniera temporanea esterna al corpo, escluso il sondino che si infilava nella colonna vertebrale. Avrei dovuto stare molto attento a non impigliare mai quel cavo a penzoloni, che mi usciva dalla pelle, per tutto il tempo e se, ripeté con enfasi se, la cosa avesse funzionato, allora avrebbe proceduto con l’inserimento definitivo sotto cute, ma dovevo anche tenere conto in quel caso, che periodicamente avrei dovuto sottopormi ad interventi chirurgici per la sostituzione della batteria dell’apparecchio.

Lamia risposta fulminea fu solo «Quando cominciamo il periodo di prova?». Credo Gerardo se lo aspettasse e così in tempi, relativamente brevi, mi fu impiantato il sondino nella colonna vertebrale ed inizio il periodo di prova. La prova andò a buon fine, così qualche mese dopo mi trovavo sul lettino della sala chirurgica con Gerardo che mi sistemava tutto l’impianto sotto cute. Da allora son passati un paio di anni, ho già affrontato il primo intervento di cambio batteria, ed adesso a distanza di un altro anno sono quasi pronto per eseguire il secondo cambio batteria.

Capiamoci: questa apparecchiatura non mi ha fatto tornare a praticare arti marziali, o mi ha fatto tornare a fare le mie, tanto mancate camminate in montagna, ma quanto meno, vivo in casa una vita accettabile, riuscendo anche a lavorare , da casa ok ma comunque almeno qualcosa riesco a fare!!

Perché hai voluto raccontarci questa storia, molti di voi si staranno chiedendo: per tre semplici motivi:

  1. Vorrei che molta più gente capisse quello che altre persone in condizioni come la mia, se non peggiore, vive. Quando sento la gente lamentarsi delle sciocchezze quotidiane tendo a diventare iroso. Mi domando come faccia la gente a non ringraziare ogni giorno di vivere una vita in salute; mi rendo conto che forse anch’io prima che questa avventura iniziasse, sicuramente, ero come tutti gli altri, ma ora che ci sono dentro, darei non so cosa affinché la gente capisse che esistono molte persone nelle mie condizioni. Nemmeno io lo immaginavo, ma frequentando spesso gli ambulatori di Terapia Antalgica, vedo quanta gente si trova costretta a confrontarsi con situazioni di dolore perenne del quale non si riesce a determinare la causa, con il risultato, come successe a me, di non trovare terapie utili a lenire il dolore.
  2. Vorrei che fosse fatta molta più attività divulgativa, su questa branca delle medicina. Io stesso ho introdotto alcune persone, affette da dolore cronico sia dovuto a malattie conclamate, che a situazione come le mie in cui le origini non si capiscono, a questo modo di affrontarlo. Certo, mi rendo conto che doversi adattare a terapie a medicinali molto forti, che inducono dipendenza, può spaventare molti, ma fidatevi: se uno deve vivere tutto il giorno, di tutti i giorni, un dolore che non da tregua, allora delle dipendenza a quel punto se ne fregherà assolutamente.
  3. Vorrei, anche, che chi ha a che fare con persone nel mio stato per motivi professionali, faccio un esempio banale: la commissione medica patenti, fosse più comprensiva nel capire che noi siamo già in condizione di svantaggio, se poi ci si mettono pure loro a complicarci la vita, non è che non facciamo i salti di gioia!!! Io, per esempio, ho dovuto rinnovare la patente negli ultimi 4 anni ogni santissimo anno, questo perché la CMP ha ritenuto che dovessi essere rivisto, anno per anno, per capire se peggioravo o meno, e posso capire dal loro punto di vista questa cosa, ma non la capisco quando, alla prima visita fatta, scopro che nemmeno conoscevano il farmaco che assumevo contro il dolore e che, seppure in dosi molto più basse, devo, e dovrò, continuare a prendere per il resto della mia vita. Quest’anno, non mi chiedete il perché, ma mi hanno graziato rinnovandomi la patente per ben due anni!! Dico ben due.

Vorrei anche che chi ha a che fare con persone nel mio stato per motivi professionali, faccio un esempio banale: la commissione medica patenti, fosse più comprensiva nel capire che noi siamo già in condizione di svantaggio, se poi ci si mettono pure loro a complicarci la vita, non è che non facciamo i salti di gioia!!! Io, per esempio, ho dovuto rinnovare la patente negli ultimi 4 anni ogni santissimo anno, questo perché la CMP ha ritenuto che dovessi essere rivisto anno per anno per capire se peggioravo o meno, e posso capire dal loro punto di vista questa cosa, ma non la capisco quando, alla prima visita fatta, scopro che nemmeno conoscevano il farmaco che assumevo contro il dolore e che, seppure in dosi molto più basse, devo, e dovrò, continuare a prendere per il resto della mia vita. Quest’anno, non mi chiedete il perché, ma mi hanno graziato rinnovandomi la patente per ben due anni!! Dico ben due.

Comunque dell’interazione della nostra situazione medica con il mondo intorno a noi con cui dobbiamo interagire parlerò in un altro post.

Se qualcuno si trova nelle mie condizioni, o si vede in una condizione simile alla mia, e volesse informazioni sulla Terapia Antalgica, mi contatti pure che cercherò di rispondere a qualsiasi domanda.

… al momento penso: e se non fosse più così doloroso ?

Provate ad immaginare una giornata senza dolore: prendiamo un orario casuale da dove cominciare a pensarci, la notte per esempio.

Immaginatevi una notte di sonno passata senza mai svegliarvi di soprassalto per un dolore acuto ad una gamba, solo perché vi siete girati dal lato sbagliato, ed immaginate che vi succeda più e più volte durante una notte. Quanto dareste per fare una notte intera di sonno tranquilla?

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Una giornata di ordinaria follia (amministrativa)

wow

Come da titolo!! Stamane, alla fine, son andato a fare la benedetta vista alla commissione patenti; erano settimane che mi  dicevo che la cosa non sarebbe finita bene, me la sentivo dentro, e difficilmente quando sento cose del genere ho torto, e così è stato anche stamane!!

Arrivati in orario perfetto, circa le 8.45, siamo scesi nell’area della commissione, ho preso il mio numero, per la coda di attesa, e ci siamo seduti; il cicalino di notifica del passaggio a nuovo utente suona e sul tabellone compare il numero 23: il mio, per cui mi alzo e vado verso la porta alla segreteria, c’è, al solito, un’impiegata seduta ad una scrivania che non ha una sedia per chi deve conferire, della serie “non sei qui per perdere tempo  o farmene perdere per cui la sedia a te non serve“, ma sorvoliamo che esistono persone come me che hanno problemi a stare in piedi !!!! Mi chiede il cognome, come al solito quando lo declamo, anche questa impiegata capisce fischi per fiaschi e chiedere conferma: “Turco?”, ed io come sempre la correggo:”No, CURTO” manca solo che le debba fare lo spelling, sapessero manco farlo qui in Italia!!!

Mi fa un sorriso come a dire:”ok, ok” ed entra un tizio, che deduco essere un collega. Lo guarda come per fargli capire che deve dirgli qualcosa di non udibile dalla plebe, ed io, certo di fare la mia porca figura da persona educata, le dico:”ok capito: aspetto fuori” intendendo che mi allontanavo giusto il tempo che le fosse necessario per dire al collega quella cosa che non poteva davanti a me: lei fa un cenno di assenso a mo di:”grazie molto gentile”, ma allo stesso tempo mi chiede gentilmente di aspettare un attimo fuori che mi chiama subito.

Ok esco e torno al mio posto aspettando di essere chiamato appena avesse finito di parlare con il suo collega. Beep, suona il cicalino e scatta il numero 24, passa qualche minuto e di nuovo beep e scatta il numero 25; decisamente infastidito mi alzo e mi affaccio alla segreteria, mentre il signor 25 esce e domando:”scusi ma c’è qualche problema?” L’impiegata affranta mi guarda e con tono di scusa mi dice:”Guardi inutile raccontarle storie: non troviamo la sua cartella.”; comincia a montarmi il nervoso e penso tra me e me:”ecco lo sapevo che oggi finiva male”. L’impiegata pare leggermi il pensiero e si affretta ad aggiunger:”non si preoccupi, comunque lei oggi farà la visita”. Il suo tono è risoluto, di una persona che sa quello dice e che quindi non devo preoccuparmi di alcun che!!

Dopo un po’ mi chiamano: altra impiegata che mi fa strane domande sull’iter della mia pratica:”Lei non ha proprio chiesto un rinvio? Non ha mandato una mail, telefonato o non è venuto qui di persona a chiedere un rinvio ?”: il mio nervosismo continua a salire e comincio a maledire il momento in cui ho deciso di fare la richiesta del rinnovo della patente non, al solito, presentando di persona la richiesta all’ufficio competente, ma utilizzando il sistema informatizzato. L’impiegata però mi assicura che farlo per via telematica, in realtà, è il sistema più sicuro e più veloce per cui ho fatto bene. Sarà, penso io, ma è la prima volta in diversi anni che succede che non trovino la mia cartella !!!!

Alla fine la prima impiegata mi dice di non preoccuparmi ( ancora ??? allora devo iniziare a preoccuparmi davvero!! ) e che a minuti la commissione mi riceverà. In effetti l’impiegata è di parola e dopo 5 minuti nemmeno compare il mio numero di coda sulla riga di chi deve presentarsi alla commissione. Mi appresto alla porta, faccio la persona educata e busso e come mi aspetto la banda cafoni, come chiamo io quelli della commissione patenti, non si degna di rispondere. Non ho voglia di perdere altro tempo, per cui entro pur non ricevendo alcun cenno dall’interno della stanza. Appena entro mi rendo conto che la commissione è diversa dalla solita con cui mi son confrontato sino ad ora, ma ci sta: di solito mi hanno sempre fissato gli appuntamenti intorno le 14, oggi invece era alle 9, magari di mattino c’è una commissione diversa. Unica costante il presidente della commissione: sempre la stesa minuta, insignificante ed antipatica dottoressa.

Un tizio, che poi dedurrò essere un neurologo, mi fa fare un ridicolo test facendomi fare su e giù con il piede tenendo il tallone a terra, per capirci il movimento che si fa quando si accelera o decelera guidando, e tronfio esclama, con la saggezza dei sui scarsi 50 anni e il responso di quel complicatissimo esame:” la mobilità non v’è dubbio che c’è!!” e torna al suo posto: mazza quanto ha lavorato questo stamane, penso io !!

Oltre a quello mi fanno fare l’altro ridicolo esame della vista, dopo avermi chiesto se ci vedo, forse il bastone grigio l’ha messo in difficoltà: non essendo bianco del tutto non era certo che fossi un non vedente!!! Poi iniziano a discutere, al solito facendoti sentire una merda invisibile, su questo e quello e chiedono spiegazioni sul perché non ho prodotto un determinato modello governativo. Sento le scintille che iniziano a salire lungo la spina dorsale e raggiungere il cervelletto: se non tengo il controllo della situazione tra un po’ inizieranno a volare scrivanie e sedie qui dentro!!!

Accenno al fatto che la convocazione parlava di un vago documento che non era chiaro se sarebbe stato prodotto dopo una visita in loco o se dovessi intenderlo come un  ordine di provvedere per conto mio. Al che mi ammutolisco e mi isolo: se le scintille raggiungono il cervello superando il cervelletto qui dentro finisce male: ne sono più che certo!!

“Bene, vada ed attenda di la: la chiameranno e le daranno un documento.”; scoprirò poi che, in realtà, avrebbero dovuto dirmi che mi sospendevano la patente sino ottenimento di quel documento a seguito di una visita da un neurologo, sia mai, visto che un neurologo era presente in commissione, la visita la facesse lui vero !!!. Sai, dopo che l’ultima crisi epilettica che ho avuto risale a 40 anni fa, ci vuole un pezzo di carta di un neurologo che non sa chi diavolo io sia, per confermare che sono guarito dall’epilessia giovanile.

Devo proprio incominciare a fare l’italiano medio e non dire più nulla sul mio passato medico: se avessi seguito questa filosofia non sarei qui da 5 anni ad elemosinare il rinnovo della patente, anno per anno.

Comunque alla fine la situazione è questa: patente sospesa, sino a che non avrò fatto la visita da un neurologo che dovrà emettere una vatte la pesca di  documento ministeriale. Ottenuto quel pezzo di carta devo contattare di nuovo la banda cafoni, si si la commissione medica patenti, per organizzare altro incontro per concludere l’iter della commissione, e sperare che questo significhi che mi rinnovino la patente per altri 365 miseri giorni.

Il mio medico curante cerca di venirmi incontro fornendomi una richiesta con urgenza entro i 10gg per riuscire a fare questa visita in fretta e tornare ad avere la mia patente, peccato che al CUP, una, devo dire molto gentile impiegata, mi spiega che per disposizioni ministeriali nessuna visita che sia correlata ad una patente o rinnovo di quest’ultima può essere richiesta in condizione di urgenza. Per cui o aspetti i soliti X mesi per la visita o te la fai da privato e paghi di tasca tua se la rivuoi in fretta sta c***o di patente!!!!

Credevo che questo paese non potesse diventare peggio di quanto ormai avevo capito fosse, ma è proprio vero che al peggiorare non c’è mai fine !!!

JC

Ciao Micia

 

Ciao Micia, gatta bastardina recuperata da una gattara della zona; quando ti portammo a casa, non pensavamo ci avresti fatto compagnia per ben dieci anni, ed invece così è stato, anche se, senza intervento di quella mano assassina, volontaria o meno, probabilmente saresti rimasta con noi per molto tempo ancora.

 

imageEri piccola come uno scricciolo quando ti portammo a casa, una casa sicuramente diversa da quella a cui eri abitata: stavi in una casetta di campagna all’aperto con i tuoi fratellini e le tue sorelline, e ti sei trovata all’improvviso in un appartamento con due cagnoloni ed un altro gatto che non conoscevi;

imageIgor, un apparente burbero maschio di Rottweiler,  che invece ti si palesò come un tenerone, tanto che ti ci affezionasti subito diventando, non dico la sua ombra, ma eri spesso nei suoi paraggi, nei momenti di maggiore insicurezza;

imagee Whity, una dolcissima e tenerissima femmina di Cane Corso, che ti prese subito sotto la sua zampa protettrice.

imagePoi c’era Ethan, i nostro gattone norvegese, che seppure a modo suo, anche lui ti prese in simpatia. Anche perché essendo un felino anche lui sapeva come raggiungerti laddove image ti rifugiavi i primi giorni per tare tranquilla 🙂

Insomma ti sei trovata scaraventata da una situazione in cui eri all’aperto con solo il tuo parentado felino, ad una situazione con diversi animali da imparare a conoscere.
L’unica cosa in comune con la vecchia casa era la presenza di essere umani che ti volevano bene, e che ti avevano scelto nonostante tu fossi una femminuccia, cosa che fece molto contenta la tua precedente umana perché sapeva bene che piazzare una femmina di gatto è decisamene più complicato che piazzare un maschio. Cosa in realtà poco comprensibile visto che chi procura più fastidi nel periodo dei calori son di certo i maschi e non le femmine.

Insomma tornammo a  casa con te, e come ben sai, a causa dell’eterna nostra indecisione, non ti scegliemmo mai un nome, per cui sei rimasta col nome micia per tutta la tua vita!! Una vita tranquilla  fatta delle tue scorribande notturne estive, delle tue litigate per il controllo del tuo piccolo territorio, delle tue sparizioni per un paio di giorni che ci mandavano immancabilmente in apprensione sebbene continuassimo a ripeterci:”… tanto lunedì ricomparirà”’; ed in effetti era così: probabilmente restavi chiusa da qualche parte durante il fine settimana, magari in qualche garage o cantina che qualcuno teneva aperto tutta la settimana, ma che serrava durante il week end.

L’avvicendarsi di altri cani e gatti in casa non ti ha mai creato problemi, forse solo la dipartita di Whity ti ha lasciato stranita: ancora ricordo come annusavi la sua cuccia, come cercavi i posti in cui la vedevi di solito nel palchetto qui fuori; e meno male che gli essere intelligenti che sanno provare delle emozioni siamo solo noi!!!

Anche con Tigro, nonostante come lo hai trattato i primi giorni, alla fine hai trovato un modo di convivere… insomma sei sempre stata una gatta dalla capacità di adattarsi e mille situazioni diverse: dal dormire sul lettone tra noi due, al girovagare tutta la notte in giro per il tuo territorio, controllando che altri gatti non tentassero di prendere il sopravvento. E tutto questo sino all’altro giorno… quando qualcuno, non so se per cattiveria o per stupidità, ha lasciato quell’antigelo li, all’aperto, a portata di voi gatti. I primi due non ce la fecero nemmeno a passare la notte, tu invece si vede che ne assumesti poco perché il tuo calvario è durato una settimana e più, prima che ci rendessimo conto del disastro avvenuto.

Ma perché i vicini che hanno subìto lo stesso dolore non ci hanno avvisato: ti avremmo portata dalla veterinaria subito, anche se apparentemente stavi bene e forse ce l’avresti fatta. Se ci avessero avvisati forse non avrei dovuto sopportare di vederti camminare come in preda ai fumi dell’alcool mentre invece erano i primi segni di danni cerebrali dovuti all’avvelenamento. Lucie ha fatto di tutto e di più per poterti aiutare; ha cercato di farmi capire quando finalmente usasti la cassettina che non dovevo ancora esultare, sebbene fosse stato un gran passo avanti che indicava che i reni ancora un po’ funzionavano; che dovevi iniziare a mangiare prima di cantare vittoria su quella mano assassina.

Ed in effetti aveva ragione lei: ho provato a portarti le tue crocchette preferite e la tua ciotola di sempre, e li ho capito che ormai non v’era più nulla da fare: nonostante Lucie non mi avesse detto nulla, ho visto da solo le tue convulsioni, chiaro sintomo di ormai, estesi, danni cerebrali; non miglioravi in realtà, ma contro ogni apparenza stavi peggiorando, e li ho preso la decisione, quella decisione che già in passato mi è capitato di dover prendere, e che ogni volta spero di non dover più affrontare. Addormentarti… che termine quasi poetico addormentarti, ed è anche veritiero visto che, prima dell’iniezione fatale, ti abbiamo fatto l’anestesia. Ma vedere poi l’ago perforarti il cuore, vedere il tuo respiro che si affievoliva, vedere le orecchie rilassarsi definitivamente, e per ultimo realizzare la mancanza di reazione al contatto dell’occhio, mi ha di nuovo stretto il cuore.

Ogni volta me lo ripeto:”Joe, ricordati che è un anime domestico: vivrà meno di te”. Ma ogni volta spero che accadrà quando sarà il momento perché è il momento, e non perché una malattia o peggio la cattiveria o la stupidità di un essere umano ti porti a quel momento.

Micia, che altro dirti, ovunque tu sia andata, sicuramente sei andata a stare meglio, e questa è l’unica consolazione che mi resta, oltre al tuo ricordo: un ricordo che, stai pur certa, si cementerà nel tempo, ma non sparirà mai!!

Buon viaggio Micia

JC

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Morte di un 14enne per incapacità dei genitori e delle istituzioni!

Oggi, su quasi tutti i giornali quotidiani, si trova in prima pagina la notizia di un ragazzo 14 enne che si è suicidato, pare, perché gay ed incapace di gestire la cosa. Subito è stata avviata una inchiesta perché si teme che il ragazzo sia stato oggetto di bullismo a scuola.

E subito si è creato il panico da “coscienza sporca” tra i nostri politici, primis in testa la presidente della camera. Adesso tutti si preoccupano del ritardo cronico per il passaggio alla camera della legge contro l’omofobia, che al suo interno, pare, includa anche dei provvedimenti contro il bullismo collegabile a questo argomento.

Ora, mi verrebbe da dire, “ma ai miei tempi queste cose non succedevano”. Di contro mi rispondo pensandoci un attimo ed il perché è piuttosto chiaro: ai miei tempi un ragazzino di 14 anni non sarebbe arrivato a pensarsi giù come un gay, e tanto meno si sarebbe mai sognato di dichiararsi in classe o ad amici o coetanei.

Cosa è cambiato da allora quindi? Abbiamo avuto l’emancipazione omosessuale che, per certi versi, ha portato molte buone cose, ma alcune decisamente non buone: chiaramente una di queste è proprio l’autocoscienza di rendersi conto di essere diversi in così giovane età.

E non mi si vena a dire che ai tempi questa autocoscienza c’era ma la si soffocava, non c’era proprio! Io a 14 anni credo non pensavo ancora nemmeno al sesso figuriamoci se mi ponevo il problema di che sesso mi sarebbe piaciuto in futuro.

Ma ormai la frittata è fatta, ed è di quelle per le quali non si può tornare indietro. Quindi come risolviamo il problema di questi ragazzini che si suicidano per motivi di questo genere? Si parlo al plurale perché sapete bene che questo non è il primo caso e temo, ahimè, che non sarà nemmeno l’ultimo.

Chi deve occuparsi di crescere i figli, facendoli affacciare, anche alla loro vita sessuale, senza che, qualunque sia l’orientamento, ne abbiano a soffrire? I genitori? Quelli che in questo paese ancora non sanno parlare di sesso liberamente nemmeno con il/la proprio/a partner? La scuola? Quella che negli ultimi 30 anni non è nemmeno riuscita ad inserire educazione sessuale nel percorso formativo dei nostri ragazzi?  Uno psicologo? Che costa a seduta quanto la rata di una macchina nuova, e che comunque viene visto dai genitori stessi come ‘segnalatori’ della presenza di una malattia?

Insomma: servirebbero un’insieme di cose per poter evitare che succedano altri episodi del genere, e non credo che la semplice promulgazione di una legge, o di un decreto come sarà ora vista l’improvvisa urgenza, basti a risolvere il problema.

Badate bene: per me il problema non è l’omosessualità del/la ragazzo/a, ma come si trovano a viverla; attaccati dai bulli, incapaci di trovare il modo di confrontarsi con i genitori, non parliamo poi di appoggiarsi ad una figura di riferimento religiosa: povero lui se si confessasse da un prete: i rischi sarebbero due!! O il prete in questione lo martirizzerebbe per cercare di ‘farlo tornare etero’, o peggio cercherebbe di approfittare della situazione… ci siamo capiti a cosa mi riferisco vero??? Non serve che stia qui a dettagliare !!

Insomma sto ragazzino a chi si può rivolgere? Come ai miei tempi alle riviste, agli amici ed in più, rispetto a noi, ha anche internet. E sai che aiuto !!!

Internet in questo caso potrebbe essere di grande aiuto.. ma dico potrebbe perché, in ogni caso andrebbe guidato, accompagnato in una ricerca, anche puramente didattica, sulla questione. Troppo facile per i nostri ragazzetti finire in siti che tutto fanno tranne che aiutarti !!

I genitori potrebbero iniziarli all’argomento anche solo per la compressione della diversità già da piccoli. E non ditemi son troppo piccoli a 14 anni: se hanno l’età per suicidarsi, hanno anche l’età per capire la diversità, e nel caso li riguardi, incominciare ad accettarsi e magari aprirsi verso le famiglie.

Ma si.. già mi immagino la risposta di certi genitori che conosco con ragazzi di quella età: “Ma dai ti pare che mi metto a parlare di omosessualità con mio figlio?” … e rispondo io perché non dovresti farlo? Facendolo otterresti un risultato in entrambi i casi.

Se tuo figlio è etero, imparerà ad accettare chi è diverso da lui perché gli insegnerai che diverso non è; se invece tuo figlio e gay o bsx, capirà che i suoi genitori conoscono la questione e sono in grado di affrontarla.

Insomma, le soluzioni, partendo dal nucleo famigliare ci sarebbero, e scusatemi se la scuola non la prendo nemmeno in considerazione: la scuola dipende dallo stato il che vuol dire che aspettare un intervento da chi si fa i fatti propri per rubare quanto più possibile nel proprio mandato,  quando non dipende dallo stato, di norma in questo paese, è gestita da preti, dai quali terrei mio figlio lontano miglia e miglia se non altro perché non impari da loro una mentalità di discriminazione e razzismo verso chi è diverso, non intendo di pelle, ma di orientamento sessuale o credo religioso, perché è questo che la chiesa fa se ci pensate un attimo!!!

Che altro dire: spero sempre di trovare, un giorno, un genitore che sospettando che il/la proprio/a figlio/a sia gay, mi interpelli chiedendomi consiglio su come affrontare la cosa, invece di fare gli struzzi della serie ‘ahh ma io ho tanti amici gay’, salvo poi evitare come la peste la questione con i propri figli.

Vostro/a figlio/a se è gay, non è difettato, rotto o guasto: è solo vostro figlio con la sua vita. Ne più ne meno!!!

JC

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Considerazioni sul dolore

E’ un situazione strana: stamane ho fatto una risonanza magnetica alla colonna vertebrale perché i reumatologi dicono per che per quanto riguarda loro non ci son problemi che giustifichino i dolori che sempre più insistentemente mi devastano le gambe.

La soluzione proposta, e credo anche inevitabile, è stata quella di iniziare a scandagliare altre possibilità iniziando dall’aspetto neurologico. Questa mattina come primo approccio, richiesto dalla neurologa che mi prenderà in carico, come punto di partenza sine qua non, mi hanno fatto sottoporre ad una risonanza magnetica alla colonna vertebrale. Stavano cercando una stenosi di qualche genere. Risultato negativo. Questo avrebbe dovuto farmi sentire sollevato visto che l’unica soluzione ad una stenosi vertebrale sarebbe stato un intervento chirurgico sulla colonna stessa. Invece… nel pomeriggio lo spettro della depressione è tornato a farsi vivo.

Motivo ? Semplice:  la negatività della risonanza magnetica sta a significare che, per quanto riguarda l’origine dei dolori, i medici son di nuovo, o forse ancora, in alto mare. 

Ok, hanno deciso già che come primo approccio si sonderanno le varie possibilità nel settore neurologico. Perché neurologia ? Bhe lo sapranno i medici, ovviamente, che ne sanno sicuramente più di me.

Ma resta il fatto che io mi ritrovo a pensare che a tutt’oggi dopo più di 9 mesi siamo ancora al punto di partenza. Ciò che ne consegue è il dubbio sul quanto ci vorrà per ottenere dei risultati validi. Al di la del rischio di perdere il lavoro, che ok è importante, ma non vitale, mi spaventa l’idea di dover aumentare i dosaggi degli analgesici. E da qualche giorno che le dosi che prendo al momento non son più sufficienti a coprire il dolore costante che mi martella da mesi. 

Strano, ma vero, ma ad una certa dose di dolore mi son ‘assuefatto’; forse non tutti sono al corrente che da quasi un anno i dolori son presenti costantemente, 24 ore al giorno senza pause ne soste. Con gli antidolorifici si riesce ad innalzare la soglia del dolore. 

Il problema sta nel fatto che, man mano passa il tempo, aumenta sempre più il dolore ‘di fondo’ costringendomi ad una corsa continua all’innalzamento degli antidolorifici. Ovviamente gli anti dolorifici non son caramelle e, pure loro, su altri fronti creano danni di altra natura.

Poi arrivi qui, in ospedale, e vedi altri casi umani di persone che son messe peggio di te. Ti viene da domandarti con che coraggio ti lamenti, in quanto, rispetto ad altri qui dentro, stai messo da favola… ma all’acuirsi del dolore diventi aggressivamente egoista pensando che il tuo dolore comunque riguarda TE e che ti dispiace per il tuo vicino di letto messo molto peggio di te, però, per la miseria, il dolore che ti coglie e che ti riduce in condizioni da pregare pur di non doverti alzare per nessuno motivo dal letto colpisce te. 

Cerchi di realizzare che loro son messo peggio, ma il dolore ti morde le caviglie, i polpacci, le rotule e man mano ti toglie il respiro ed alla fine cedi all’egoismo. 

Te ne fregi del tuo vicino di letto, speri solo che arrivi l’infermiere di turno che porti la pastiglia miracolosa che ti faccia, anche solo per qualche decina di minuti, stare meglio, farti respirare.
Il dolore mi attanaglia nuovamente, e devo lasciare anche la tastiera per il momento ….

JC